martedì 24 settembre 2013

La ripresa economica

di FABRIZIO DAL COL
Ieri il Financial Times ha pubblicato un testo, “il monito degli economisti” (“The Economists’ Warning”), un documento ispirato e promosso da due italiani, Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e sottoscritto da alcuni tra i principali esponenti della comunità accademica internazionale, appartenenti a varie scuole di pensiero, e  tra questi Philip Arestis (University of Cambridge), Wendy Carlin (University College of London), Giuseppe Fontana (Leeds and Sannio Universities), James Galbraith (University of Texas), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Eckhard Hein (Berlin School of Economics and Law), Alan Kirman (University of Aix-Marseille III), Jan Kregel (University of Tallin), Heinz Kurz (Graz University), Alfonso Palacio-Vera (Universidad Complutense Madrid), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute), Pascal Petit (Université de Paris Nord), Dani Rodrik (Institute for Advanced Study, Princeton), Willi Semmler (New School University, New York), Engelbert Stockhammer (Kingston University), Tony Thirlwall (University of Kent).ed anche: Georgios Argeitis (Athens University), Marcella Corsi (Sapienza University of Rome), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country), Malcolm Sawyer (Leeds University), Sergio Rossi (University of Fribourg), Francesco Saraceno (OFCE, Paris), Felipe Serrano (University of the Basque Country), Lefteris Tsoulfidis (University of Macedonia).
La crisi economica continua a mordere, e la ripresa economica prevista dagli addetti ai lavori, politici e industriali, con tanti saluti alle cornacchie di governo, non ci sarà nemmeno per il 2014. Il giornale L’Indipendenza ha sempre tenuto la sua linea di scetticismo e si è sempre distinto per aver ribadito, in tempi non sospetti, che la possibilità di salvarsi dell’Europa e dell’euro era da considerarsi vicino allo zero. Oggi “ il monito degli economisti” conferma ciò che su questo giornale si è sempre detto e scritto, ovvero motiva nei dettagli la politica fallimentare europea, e rileva invece come le politiche del rigore si siano dimostrate una vera e propria catastrofe. Come una parte della comunità accademica aveva previsto, la crisi sta rivelando una serie di contraddizioni nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione monetaria europea. Nel giugno 2010, ai primi segni di crisi dell’eurozona, una lettera sottoscritta da trecento economisti (http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/lettera-degli-economisti/#.UkB6NjVH7ct ) lanciò un allarme sui pericoli insiti nelle politiche di “austerità”: tali politiche avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Intanto, non paghi del disastro avvenuto, i burocrati europei continuano ancora oggi a sostenere la via sbagliata, e credono che l’applicazione delle riforme strutturali, richieste ai PIIGS, sia sufficiente a far ripartire il Sud Europa. In molti profetizzano veri cambiamenti, ma fino a quando non si deciderà di modificare completamente la politica economica europea, tali cambiamenti non potranno concretizzarsi.
Le politiche deflattive, praticate nel corso degli anni dalla Germania, hanno determinano una montagna di squilibri  tra i paesi della zona euro,  e adesso la Germania vuole che a farsi carico del problema siano i soli paesi periferici, con il conseguente rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee, quando invece sarebbe necessario un coordinamento di tutti gli Stati Europei. L’Idea di costituire una Europa politica partendo dalla moneta si è dimostrata una idea fallimentare e gli squilibri determinati dalle scelte sbagliate altro non hanno fatto se non incentivare le differenze tra gli Stati interessati.  E adesso la Germania dovrà rivedere la sua politica egemone sull’Europa, altrimenti sarà legittimo che gli Europei inizino a sospettare che i tedeschi abbiano ancora intenzione di formare il quarto Reich.

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