domenica 1 dicembre 2013

VIVISEZIONE

L’idea che porre l’accento sui “diritti degli animali”, o sulle loro sofferenze, possa oggi essere sufficiente a determinare quella che sarebbe un’autentica rivoluzione mondiale sotto il profilo giuridico, scientifico ed economico è difficile da definire benignamente. Nella migliore delle ipotesi è un’ingenuità, la quale, peraltro, non si riflette bene sulla competenza dei professori che l’hanno difesa nei loro scritti e interventi pubblici. Uno dei meriti di Ruesch è stato di “sdoganare” finalmente una notizia che le stesse leghe (vere o sedicenti) antivivisezioniste avevano colpevolmente mancato di diffondere e valorizzare per decenni: e cioè che contro la vivisezione esistono argomenti convincenti e accessibili di carattere scientifico e storico, e che questi argomenti sono stati e sono riconosciuti come validi, e anzi decisivi, da centinaia e centinaia di scienziati e medici, molti dei quali illustri per dottrina e per le scoperte fatte. Anche chi si ostini a non accettare quegli argomenti (e in tal caso dovrebbe assumersene pubblicamente tutta la responsabilità, scientifica e civile), non può più, dopo il contributo di Ruesch, negare il dato storico che nelle schiere degli antivivisezionisti per ragioni scientifiche ci sono stati e ci sono scienziati di indiscutibile competenza. Eppure neanche questa dimostrazione ha impedito ad alcuni di continuare a scrivere cose come la seguente: “Chiunque abbia una minima cultura scientifica deve riconoscere che grazie anche alla sperimentazione animale è possibile riconoscere fattori di rischio, curare delle malattie, alleviare sofferenze.” Ora, questo è semplicemente un FALSO, della qual cosa si può rendere conto anche chi non abbia una particolare cultura medica, in quanto è un FALSO STORICO. Infatti moltissime persone, anche di grande cultura scientifica e con piena consapevolezza della questione, ritengono che la “sperimentazione animale” sia servita e serva sostanzialmente a confondere le menti, a deresponsabilizzare l’industria chimico-farmaceutica, e a ritardare provvedimenti salvavita delle istituzioni sanitarie. Per confutare l’affermazione citata basterebbe riportare anche solo il parere di sir George Pickering, professore regio di medicina all’Univeristà di Oxford, apparso sul British Medical Journal del 26 dicembre 1964: L’idea, per come la capisco, è che verità fondamentali sono rivelate attraverso la sperimentazione di laboratorio su animali inferiori, e quindi applicate ai problemi del malato. Poiché la mia formazione è di fisiologo, mi sento in certo modo competente a valutare una tale affermazione. E’ UNA PURA SCIOCCHEZZA. Un parere, come si vede, non solo negativo ma addirittura sprezzante, cosa che dovrebbe ancor più far riflettere, dato il tradizionale “understatement” britannico e l’appartenenza di Pickering ai vertici dell’ufficialità medica del suo paese. Qualche lettore dubita che si tratti di una momentanea incertezza che la scienza attuale avrebbe trionfalmente superato? E allora spostiamoci in avanti di esattamente quarant’anni, e leggiamo un articolo apparso sulla stessa rivista e che si intitola: “Dove sono le prove che la ricerca su animali porta beneficio agli umani?”. La risposta è che tali prove, ancora nel 2004, non ci sono. I cinque autori concludono quindi, del tutto ragionevolmente, auspicando una moratoria su tale ricerca: “Idealmente nuovi studi su animali non dovrebbero essere intrapresi finché non si sia fatto il miglior uso degli studi su animali già esistenti, e finché la loro validità e generalizzabilità alla medicina clinica non sia stata valutata.” Si tratta di persone senza “la minima cultura scientifica”? Un po’ difficile crederlo, anche perché fra essi troviamo ben quattro professori universitari di medicina, operanti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti in altrettanti settori diversi … E certamente non sarà un caso se una rivista medica di indubbio prestigio internazionale come il British Medical Journal ha compiuto la trasparente scelta editoriale di evitare di pubblicare articoli che trattino di esperimenti su animali! Alla luce di queste inequivocabili prese di posizione (e tante altre dello stesso segno se ne potrebbero citare), risulta sconcertante, per chi è nuovo della questione, la propensione al falso storico – e a ripetere gli stessi falsi storici, già innumerevoli volte confutati – esibita da tanti più o meno famosi vivisezionisti. Se essa sia di buono o di cattivo auspicio per quanto riguarda l’affidabilità di questi personaggi in campo scientifico, è una questione ineludibile, che però si può tranquillamente lasciare ala giudizio di ognuno. Con tutto ciò è difficile che, nel suo complesso, il mondo della ricerca privata o pubblica sia disposto ad accettare con equanimità una critica scientifica ed epistemologica, per quanto valida, che mina le basi dell’attività quotidiana di tanti dei suoi operatori (anche se non certo di tutti). Quindi su questo fronte bisogna aspettassi il perdurare di una fortissima resistenza, almeno finché sarà praticabile senza provocare il pubblico scandalo – cioè finché si riuscirà a proteggere la vivisezione per mezzo di segretezza e disinformazione, a cui purtroppo hanno dato e danno man forte molti scienziati e presunti “comitati etici”. La determinazione dei vivisezionisti a mantenere lo status quo è pure evidente in Italia dal fatto della violazione sistematica delle leggi che regolamentano la sperimentazione, il decreto legislativo 116 del 1992 e la legge 413 del 1993. Contro la legge 413, che permette l’obiezione di coscienza alla vivisezione nelle istituzioni pubbliche e private, è in opera da anni in diverse università una strategia di occultamento nei riguardi degli studenti, nonostante l’obbligo della “massima pubblicità” previsto dalla legge stessa. Quanto al decreto, esso prevede condizioni in linea di principio molto restrittive perché una proposta di sperimentazione possa essere approvata. All’articolo 4 (cfr. anche l’art. 7) esso infatti recita: 1. Gli esperimenti di cui all’art. 3 possono essere eseguiti soltanto quando, per ottenere il risultato ricercato, non sia possibile utilizzare altro metodo, scientificamente valido, ragionevolmente e praticamente applicabile, che non implichi l’impiego di animali. 2. Quando non sia possibile ai sensi del comma 1 evitare un esperimento, si deve documentare alla autorità sanitaria competente la necessità del ricorso ad una specie determinata e al tipo di esperimento. (….). Ma sono queste condizioni realizzate nei progetti presentati per l’approvazione e di fatto approvati? Cioè, i proponenti si prendono cura di dimostrare che l’esperimento proposto è scientificamente valido e non ammette alternative senza animali? Si premurano di “documentare (…) la necessità” del tipo di esperimento e della specie animale su cui lo si intende eseguire? A partire dalla mia esperienza come membro del comitato etico della mia università (per sei anni) posso avanzare l’ipotesi che ciò non avviene praticamente mai, neanche in prima approssimazione. Ma il lettore non deve credermi sulla fiducia. Vediamo cosa dicono gli stessi vivisettori in un diffuso manuale universitario a più nomi a proposito della scelta della specie su cui fare l’esperimento. Si noti che le seguenti considerazioni, scritte nel 1994 sono dovute, separatamente, a ben tre autori diversi: “Questo (il fatto che gli esperimenti siano stati fatti finora quasi solo su pochissime specie) sottolinea quanto poco ancora si conoscono le similitudini tra i mammiferi e l’uomo per poter fare una scelta giustificata del modello animale più idoneo”. “(…) la scelta dell’animale che viene fatta in uno studio di cancerogenesi è ovviamente (sic!) una scelta di praticità. Sarà quasi necessariamente un roditore, anche se non è detto che sia l’animale più adatto.” “La scelta del modello sperimentale rimane comunque fortemente condizionata oltre che da fattori di tipo scientifico, da fattori di tipo economico-organizzativo. Pur essendo questo un grosso limite contestato agli studi di tossicologia, esso viene solitamente accettato dalle comunità scientifiche e regolatorie (…).” Ora queste affermazioni indicano meglio di qualsiasi statistica che l’articolo 4 del decreto è sistematicamente disatteso nella presentazione dei progetti sperimentali, e che tale illecito “viene solitamente accettato dalle comunità scientifiche e regolatorie” – tanto che se ne può parlare con disinvoltura anche in un manuale destinato ai ricercatori e studenti. E’ difficile immaginare una prova più semplice e convincente del misero livello di scientificità della vivisezione e al tempo stesso dell’illegalità diffusa in cui si muove la comunità dei suoi praticanti. dal libro LA MEDICINA SMASCHERATA di Hans Ruesch a cura di Marco Mamone Capria – pagina 11 ______________ *** ______________ vedi anche: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=470777316333453&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&theater capitoli 10, 11, 12:http://www.facebook.com/media/set/?set=a.470030849741433.1073741828.469925656418619&type=3 Un vero imbroglio statistico... http://www.facebook.com/photo.php?fbid=475167512561100&set=a.475167459227772.1073741833.469925656418619&type=3&theater ______________ *** ______________ Informazioni scientifiche: http://www.hansruesch.net/articoli/RicercaDiBase_rev.html -http://www.hansruesch.net/ _________________________
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