giovedì 29 agosto 2013

BASTA CRIMINI CONTRO GLI ANIMALI




Pseudoscienza nella scienza biomedica contemporanea: il caso della vivisezione
M. Mamone Capria Dipartimento di Matematica, Università di Perugia
Biologi Italiani, giugno 2003, 33(6), pp. 10-27

1. Introduzione
Il fenomeno di come certi assunti metodologici si radichino in una comunità scientifica senza che ripetuti fallimenti riescano ad incrinare la fedeltà, se non la fiducia, dei praticanti è stato posto al centro della sua concezione della scienza dallo storico ed epistemologo Thomas Kuhn. (rif. 1)
Come si sa, per Kuhn la scienza procede per lunghi periodi di “scienza normale”, cioè di dominio - tenace e insensibile alle critiche - di un “paradigma” (l’insieme di idee, tecniche e problemi accreditato in quel momento presso la data comunità scientifica), intervallati da periodi relativamente brevi di “crisi” (durante i quali proliferano le difficoltà concettuali e le anomalie sperimentali irrisolte), che a loro volta culminano nelle “rivoluzioni scientifiche”; queste ultime inaugurano una nuova epoca di scienza normale, all’insegna di un nuovo paradigma.

Una spiegazione di questa fenomenologia, che trova in effetti notevoli riscontri nella storia e cronaca della scienza, deve necessariamente far ricorso ai caratteri generali della ‘professione scientifica’ nella sua dimensione storica e sociologica, oltre che, ovviamente, a quelli specifici del singolo settore in esame. In altre parole, ciò che fanno gli scienziati non basta a definire la natura della scienza, e meno ancora quella della razionalità. Non è quindi assurdo supporre che un intero settore della ricerca scientifica adotti, in un certo periodo storico, credenze e metodi che si possano correttamente descrivere come pseudoscientifici. Lo scopo di questo articolo è di analizzare un esempio importante, (rif. 2) che gode del singolare primato di essere stato fatto oggetto di critiche professionali (oltre che di quelle di un pubblico più vasto) per oltre un secolo e mezzo, e nondimeno di essere ancora in vita.
Si tratta della vivisezione. (rif. 3)

L’importanza del tema è accresciuta, oltre che dall’interesse diffuso per esso, (rif. 4) dalle recenti prese di posizione di commissioni governative (rif. 5) e uomini politici, (rif. 6) nonché dal ruolo che il giudizio epistemologico su questa pratica necessariamente svolge, almeno in maniera implicita, nell’attività dei comitati etici.
Ovviamente non c’è spazio qui per una discussione di tutti i principali aspetti della pratica vivisezionista (in particolare non si potrà entrare nel merito dei suoi presunti meriti storici, tranne che per qualche considerazione generale). Spero però che, anche solo a partire dai dati da me riferiti, il lettore possa farsi un’idea ben fondata in merito al suo statuto scientifico.


2. “Vivisezione”
La ragione per cui il termine ‘vivisezione’, che oggi molti vorrebbero far cadere in disuso in favore di ‘sperimentazione animale’, merita invece di essere mantenuto è che esperimenti su animali possono essere eseguiti per scopi molto diversi.
Per esempio, l’etologia è una disciplina in cui la maggior parte degli esperimenti vengono fatti senza che si pensi di applicarne i risultati all’uomo. Inoltre si possono fare esperimenti su animali di una certa specie allo scopo di accrescere le conoscenze veterinarie su quella stessa specie. (Anche in questo caso, come vedremo, sorgono seri problemi metodologici).
Il senso che daremo al termine “vivisezione” esclude questi casi, e comprende solo la sperimentazione su animali vivi di farmaci, agenti chimico-fisici, terapie, situazioni ecc. eseguita allo scopo di estrapolare i risultati agli esseri umani. (rif. 7)
Ciò a volte si formula come lo studio di ‘modelli animali’, intendendo che su specie diverse e su ceppi opportunamente selezionati (o ‘costruiti’, per mezzo delle biotecnologie), sia possibile rappresentare l’azione sull’uomo di una sostanza, di una procedura ecc.
Il termine ‘rappresentare’ allude al fatto che in generale non si darà identità di azione, ma che nondimeno esisterebbe un codice che - per esempio - permetterebbe di passare dal ratto Sprague-Dawley all’uomo nello studio degli effetti di un certo principio attivo. Probabilmente la formulazione più netta ed esplicita di questa tesi si trova in un famoso saggio metodologico di Claude Bernard, risalente a un secolo e mezzo fa: Le esperienze fatte su animali con sostanze deleterie o in condizioni nocive sono molto utili e perfettamente concludenti per la tossicologia e l’igiene dell’uomo. Le ricerche sulle sostanze medicamentose o tossiche sono egualmente del tutto applicabili all’uomo dal punto di vista terapeutico; poiché, come ho mostrato [...], gli effetti di queste sostanze sono gli stessi nell’uomo e negli animali, salvo differenze di grado. [Bernard 1865, p. 180]


Confrontate con le affermazioni dei vivisettori di oggi, quelle di Bernard hanno almeno il merito di essere abbastanza chiare. Tutt’altra questione, naturalmente, è quanto siano fondate. Si noti che la vivisezione nel nostro senso non è necessariamente cruenta e neppure sempre dolorosa (né implica la ‘sezione’ del corpo dell’animale). Del problema della sofferenza degli animali da laboratorio (in tutte le fasi del loro utilizzo), che ovviamente sarebbe essenziale discutere per una valutazione etica complessiva della pratica vivisezionista (come anche degli altri tipi di sperimentazione su animali), non ci occuperemo qui poiché il nostro approccio sarà scientifico ed epistemologico. Considerazioni etiche interverranno solo relativamente a questioni, ben più basilari di quelle ‘bioetiche’, sull’integrità della ricerca e la responsabilità degli scienziati in quanto tali (§13).



3. La vivisezione come ‘dimostrazione scientifica’: l’argomento di base

Fra gli esperimenti che cadono sotto la nostra definizione vi sono quelli che pretendono di fondare ‘scientificamente’ ipotesi sulla psicologia umana, e che sono spesso riferiti nei testi del settore. Come esempi si possono citare gli esperimenti sulla cosiddetta “impotenza appresa”, che mostrerebbero come un animale (per es. un ratto), sottoposto artificialmente a una serie sufficientemente protratta di dolorosi fallimenti delle sue iniziative, sprofondi infine in uno stato di totale rinuncia e inattività. (rif. 8 )

Si riconosce qui, in forma acuta, ciò che può considerarsi un vizio tipico dell’intera impresa vivisezionista: questi esperimenti, per quel tanto che dicono qualcosa di valido anche per l’uomo, (rif. 9) non dicono nulla di più che non sia ricavabile anche dall’osservazione diretta (e in questo caso anche piuttosto banale); e d’altra parte non sarebbero in grado di dirci neanche questo se tale osservazione non fosse già stata fatta. Se li si prendesse sul serio, il loro effetto sarebbe semmai di gettare dubbi su ciò che pensiamo di sapere sulla relazione tra fallimenti e depressione nell’uomo, e in particolare sull’enorme variabilità delle risposte individuali e sui fattori specificamente umani che spiegano tale variabilità. In generale, si direbbe che il rifiutare l’evidenza clinica sulla base di successivi esperimenti su animali debba essere considerato una patente assurdità anche dai vivisezionisti: eppure anche questo è accaduto. (rif. 10)
Alcuni autori replicano a queste critiche dicendo che nei ‘modelli animali’ si riuscirebbe ad eliminare una serie di importanti fattori di distorsione (senza introdurne altri!) per i quali nell’uomo sarebbe eticamente inaccettabile, o anche impraticabile, fare altrettanto. Quindi la vivisezione si configurerebbe come ‘dimostrazione scientifica’ di ciò che l’osservazione diretta degli uomini ci può al massimo suggerire come ipotesi. Questo argomento è anche lo strumento principale impiegato per legittimare in sede storiografica l’attribuzione alla vivisezione di molte scoperte mediche in realtà originate dall’osservazione clinica.
L’analisi della struttura di questa replica ci farà da guida nelle prossime sezioni. Innanzitutto si può parlare di ‘dimostrazione’ solo presupponendo la fedeltà della rappresentazione fornita dall’animale. Ma questo assunto va a sua volta giustificato e, come vedremo, l’impresa - oltre che teoreticamente fragile (§4) - si è ripetutamente scontrata con l’esperienza (§5).
In secondo luogo, l’idea che l’animale da laboratorio si configuri come una ‘versione semplificata’ dell’essere umano è un totale travisamento di ciò che la biologia moderna ci insegna sulla relazione tra specie diverse (§4).
Infine, l’assunto che il laboratorio di vivisezione sia un contesto che renda possibile controllare i fattori confondenti è non solo a priori implausibile - dato che la stessa condizione di ingabbiamento produce stress e quindi ‘disturba’ l’effetto che si vuole studiare (§6.3) - ma confutato da numerosi rapporti che mostrano gli sperimentatori alle prese con risultati non riproducibili (§§ 6.1-6.2). Ciò è a sua volta confermato dalla difficoltà di generalizzare i risultati ottenuti in esperimenti su umani ad altri umani (§7).
Nelle sezioni successive vedremo poi che l’attendibilità dei test vivisezionisti non è mai stata dimostrata (§§8,9) e che l’averli adottati come canoni di “plausibilità biologica” delle ipotesi di tossicità è stato responsabile di gravissimi danni alla salute collettiva (§§10,11). Compendieremo i risultati della nostra discussione in una diagnosi di pseudoscientificità della vivisezione (§12), e passeremo infine a trarne le conseguenze sul piano del lavoro dei comitati etici (§13) e della ricerca biomedica in generale (§14).


Fonte: http://www.hansruesch.net/articoli/bigi03.pdf

Vedi: http://www.hansruesch.net/risorse.htm


- §4. Giustificazioni ‘generali’: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494260677318450&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src

- §5. L’estrapolazione da una specie all’altra.
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494661230611728&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src


- §6. Fragilità dei dati
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494664513944733&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src



rif.:

1. Kuhn 1970.

2. Cfr. Mamone Capria 2001.

3. La letteratura critica sull’argomento è ampia ed è cresciuta negli ultimi anni. Oltre ai classici Ruesch [1989a, 1989b, 1991, 1992] e Croce [1999, 2000] (“la Bibbia dell’antivivisezionismo”, cfr. MacDonald 2001), vanno almeno segnalati Sharpe [1988, 1994] e Greek e Greek [2001].

4. Rivelato, oltre che dall’esistenza di numerosi e ben organizzati siti Internet contrari (vedi indirizzi alla fine dell’articolo), anche dall’apparizione occasionale di articoli critici sulla grande stampa (per la verità molto rari, a fronte delle numerosissime notizie di ‘scoperte’ su base vivisezionista): il più notevole tra quelli italiani recenti è probabilmente Condorelli 2002. Un’ampia e significativa discussione sul tema (RR 2002) si è svolta recentemente sul sito del British Medical Journal in margine alla lettera Greek, Pound 2002.

5. Vedi il recente rapporto della commissione nominata dalla Camera dei Lords inglese, e le interessanti minute delle udienze (dominate da sostenitori della vivisezione, ma con la presenza, in alcuni casi, anche di antivivisezionisti scientifici quali Claude Reiss (del quale vedi il lucido ed essenziale [2001]), André Menache e Vernon Coleman), entrambi disponibili in rete (HL 2002).

6. Sempre dall’Inghilterra vedi il discorso del 28 maggio 2002 del primo ministro Tony Blair (Blair 2002). Per una prima reazione cfr. Coghlan 2002.

7. In tutto il lavoro per ‘animale’ si intenderà ‘animale non-umano’. Diremo ‘vivi- sezionista’ il fautore della vivisezione, e ‘vivisettore’ chi la pratica.

8. Seligman 1975, discusso in Taylor 1989, pp. 184-7 (“Il ratto di Seligman è diventato un modello, quasi una parabola, di molte situazioni umane”).

9. Per una critica generale si veda Kline 1988, cap. 7 (“Animal psychology”, pp. 102-130).

10. Si legga il resoconto dato in Bross 1989 (§15) della decisione di ripetere una prova clinica per il 5-FU (una chemioterapia per il cancro al seno, già dimostratasi eccessivamente tossica in un precedente trial), sulla base di “nuovi dati su animali”. Ovviamente la nuova prova fu “a total failure”.

Stop Vivisection.
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